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Dalla logica del diritto alla logica del dono

Cari amici! Oggi riflettiamo su una caratteristica della mentalità dominante: desideriamo mettere in luce come oggi si parli sempre di diritti o di rivendicazione di diritti ma quasi mai si parla della dimensione del dono. Ovviamente conosciamo il documento della dichiarazione dei diritti dell’uomo adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Tuttavia vogliamo incoraggiare l’uomo contemporaneo a dare un “freno” alla mentalità dei diritti, per abbracciare – e ridare così valore – alla mentalità del dono.

“Dono” vuol dire essenzialmente una realtà che semplicemente riceviamo gratuitamente e di fronte alla quale non abbiamo avuto nessun merito e meno ancora abbiamo avuto la possibilità di accampare “il diritto di”.
Assimilare la mentalità del dono dovrebbe aiutarci a riconoscere che vi è un “patrimonio” di realtà che riguardano la nostra vita e che possono essere solo accolte, in una condizione di effettiva passività. Riconoscere i doni che abbiamo ricevuto infatti ci consente di sviluppare uno sguardo grato sulla vita. Chi ha deciso autonomamente di venire al mondo? È un dono; chi ha potuto scegliere il paese in cui è nato? È solo ricevuto; chi è stato interpellato nella scelta del proprio nome e nella decisione di entrare a far parte della Chiesa Cattolica? Anche questo lo abbiamo semplicemente ricevuto; il nostro corpo? Non lo abbiamo scelto noi; il legame fraterno? Nemmeno! E potremmo andare avanti. Capite che troppo cose non sono diritti, ma scelte fatte da Qualcun altro o da altri…che “bussano” per così dire alla porta della nostra vita e che chiedono di essere accolte.

Non è sufficiente fuoriuscire dal grembo di una donna per nascere veramente. Per nascere in profondità, occorre accettare tutto quel “bagaglio” di passività che ci troviamo per cosi dire “addosso”. Se si vuole maturare nella vita, se si desidera effettivamente crescere per non rimanere nell’età dell’infanzia, dobbiamo accogliere tutto ciò che abbiamo ricevuto. È un cammino che non si fa in un giorno: esige lavoro sulla propria umanità e spiritualità.

La filosofa spagnola María Zambrano ci ha insegnato che, quando si stabilisce distanza o addirittura inimicizia tra ragione e vita, per l’uomo e la donna contemporanei l’accesso alla verità resta precluso. E ha inventato il termine “disnascere”, un verbo strano che, per ciò stesso, chiede di ragionare. Che cosa significa “disnascere?” “Disnascere” significa disfarsi dell’origine, della nascita, di un fatto accaduto che non possiamo più cambiare; “disnascere” è avere accesso al sogno e alla memoria, alla parte più autentica di noi. In una parola accettare tutte quelle “passività” delle vita. È chi più di Cristo è maestro in tutto questo? Egli il Signore della storia , ha deciso di accogliere e patire la condizione umana, ha assunto la nostra natura umana, si è fatto solidale con i fratelli, addirittura ha accolto il dramma della croce. Facciamo come Gesù, impariamo a fare come lui: accogliere ma anche imparare a soffrire e a sacrificarci. Se Dio lo ha fatto, abbandonando le altezze della sua beatitudine, possiamo anche noi, e avremo così doni infiniti.


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