Distacco per la guarigione

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C’è un momento della nostra giornata in cui comprendiamo che cosa voglia dire il distacco. Partiamo dal significato della parola: distacco può voler dire separazione, allontanamento di una persona da altre, o da luoghi e oggetti amati, dalla famiglia, dai genitori, dai figli, dal paese, dalla patria. Siamo tutti vittime di un intenso attivismo che caratterizza la nostra quotidianità; la società e la cultura in cui viviamo, sotto questo aspetto, non aiutano. Quando, tuttavia, finalmente arriva la sera, possiamo dedicarci al riposo. Dopo una intensa giornata di studio o di lavoro possiamo ascoltare l’insegnamento che riceviamo dalla prima “cattedra” che il Signore ci ha preparato: il nostro corpo (Cf. Eb 10,5). Quando dormiamo, realizziamo il nostro distacco quotidiano. Tutto tace: i pensieri, le parole e le azioni. Il corpo si rigenera.

La consacrazione dei religiosi, per esempio, è una scuola privilegiata, un dono che Dio concede loro per imparare a vivere con maggiore radicalità tale distacco.

In che cosa consiste la consacrazione? In un distacco (non fuga), appunto, dal mondo, dalle proprie opinioni e da una visione individualistica di chiesa, dalla realtà che ci circonda, dagli orientamenti che disorientano, dalle autorità, dagli amici, dalla cultura social, dall’ingordigia sia del cibo, sia intellettuale, distacco dall’ambizione. La vita religiosa è la via che il Signore prepara per il religioso, in vista della rigenerazione del proprio corpo. È la rigenerazione della consacrazione mediante la professione dei voti.

Insegna Benedetto XVI: «Consacrare qualcosa o qualcuno significa quindi dare la cosa o la persona in proprietà a Dio, toglierla dall’ambito di ciò che è nostro e immetterla nell’atmosfera sua, così che non appartenga più alle cose nostre, ma sia totalmente di Dio. Consacrazione è dunque un togliere dal mondo e un consegnare al Dio vivente. La cosa o la persona non appartiene più a noi, e neppure più a se stessa, ma viene immersa in Dio. Un tale privarsi di una cosa per consegnarla a Dio, lo chiamiamo poi anche sacrificio: questo non sarà più proprietà mia, ma proprietà di Lui. […] È un uscire dai contesti della vita del mondo – un “essere messi da parte” per Dio. Ma proprio per questo non è una segregazione. Essere consegnati a Dio significa piuttosto essere posti a rappresentare gli altri».

Non possiamo fare a meno di pensare, in questo momento della vita della Chiesa anche all’insegnamento di Papa Francesco. Egli invita ad uscire dai propri arroccamenti e rigidità, dalle comodità e sicurezze che, in ultima istanza, nascondono le fragilità, le immaturità e le “malattie” (non solo fisiche) dei laici e dei religiosi. Bella la metafora della malattia di un corpo! Si può tranquillamente applicare al corpo della Chiesa. Ogni candidato che si avvicina al convento, dovrebbe sentire rivolta a sé la domanda di Gesù al trentenne infermo del vangelo: «Vuoi guarire?» (Gv 5,6).

Per guarire occorre anzitutto riconoscersi malati e, di conseguenza, far posto alla buona diagnosi di un medico e a una terapia adeguata. Non è facile trovare un buon medico, sia dentro la Chiesa, che fuori. Chi non esce da se stesso non può obbedire a Dio, alla Chiesa e, quindi, non può guarire. Con la professione il buon religioso esce definitamente dal suo “io” per immergersi in quello di Cristo, come anche nel “noi” della Chiesa. Il religioso (e non solo), trova la “terapia” alle proprie infermità nell’unico medico realmente competente: Gesù di Nazareth, che vive in un “ospedale” d’eccellenza: la Chiesa Cattolica.

La vocazione in un corpo malato è, al tempo stesso, un dono grande e una responsabilità tremenda, e aiuta a comprendere che non è un diritto e che non è necessario “sgomitare” per ricevere il sacerdozio. Si entra in seminario o in convento per cercare di guarire e non per aggravare le malattie; la vita religiosa, insomma, dovrebbe essere la via per la guarigione. L’esperienza della malattia aiuta il religioso e il sacerdote ad essere un “guaritore ferito”. Ecco che ritorna “la cattedra” del corpo, del corpo di ciascuno. Se il religioso vivrà tale consacrazione con Cristo, nel cuore della Chiesa, non potrà mai vacillare.

Per concludere, vogliamo invitare il lettore a dedicare un momento di preghiera per tutti coloro che scelgono, o hanno scelto, la vita religiosa: possano portare la guarigione dell’amore di Cristo in un mondo molto (e forse sempre più) malato.

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