Ci troviamo nell’anno del Giubileo della speranza. La speranza è una delle virtù teologali, ovvero una di quelle virtù che vengono infuse da Dio nell’uomo e che ci abilitano alla comunione filiale con il Padre. Questa parola ha spesso un sinonimo in chiave sociale, che è la parola “Giovani”: fu Giovanni Paolo II, dopo il suo primo Angelus del 22 ottobre 1978, a rivolgere questo speciale saluto ai giovani: “Voi siete l’avvenire del mondo, voi siete la speranza della Chiesa, voi siete la mia speranza”. Non possiamo dunque parlare di futuro trascurando la condizione spirituale in cui versano le nuove generazioni.
Iniziamo con alcuni numeri, da cui possiamo trarre alcune osservazioni. Una recente Indagine multiscopo dell’Istat compara i dati degli ultimi 20 anni sul rapporto tra i giovani e la fede, concentrandosi soprattutto sulla pratica religiosa. Gli ultimi dati risalgono al 2022, quindi ci danno uno spaccato delle tendenze in atto in questi primi due decenni del nuovo millennio.
Il dato del 2022 relativo alla frequenza settimanale ad un rito religioso comunitario (dunque non necessariamente la Messa cattolica, che rimane comunque maggioritaria) è il più basso che si riscontra nella storia recente del nostro Paese. Negli ultimi vent’anni (dal 2001 al 2022) il numero dei «praticanti regolari» si è quasi dimezzato (passando dal 36% al 19%), mentre i «mai praticanti» sono di fatto raddoppiati (dal 16% al 31%).
Inoltre, dai dati Istat emerge che frequentano i riti domenicali in Italia circa il 12% degli adolescenti (14 – 17), l’8% dei giovani (18-24 anni). Quest’ultimo dato si è ristretto di due terzi rispetto al 2004, in cui venne rilevato che il 31,1% delle ragazze si recava in chiesa con regolarità, contro il 24,5% dei ragazzi.
Sono dati che non ci stupiscono, e che anzi confermano quella che è l’impressione generale di chiunque frequenti attivamente i luoghi della parrocchia. Tuttavia, ci sono altri dati che vanno tenuti in considerazione, che sono stati pubblicati nel 2023 dal quotidiano francese LaCroix, in concomitanza con la Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona.
Vennero intervistati circa 30mila giovani e i risultati ci concedono di poter dire “non tutto è perduto”: l’80% degli intervistati dichiarò di avere una vita di preghiera, il 75% di partecipare alla Messa almeno una volta alla settimana, il 24% più volte alla settimana. Sul significato che loro conferivano alle celebrazioni eucaristiche, gli intervistati si espressero in termini di ricerca di «un momento di incontro intimo con Gesù», di «rigenerazione spirituale» e della «celebrazione di un mistero sacro». Inoltre, il sondaggio evidenzia un interesse relativamente diffuso per il rito romano tradizionale, precedente alla riforma liturgica del 1969, la “Messa in latino” insomma: il 19% lo trova «rivitalizzante». A questo proposito, vale la pena citare anche il pellegrinaggio di Chartres, i cui tratti caratteristici sono certamente l’alta partecipazione giovanile e l’uso della liturgia Vetus Ordo.
Ebbene, questo evento ha fatto ampiamente parlare di sé, in quanto dall’edizione del 2019 all’ultima del 2024 si è vista una impennata della partecipazione dell’80%, fino ad arrivare ad accogliere ben 18000 giovani. Non male per un Paese come la Francia, culla del laicismo occidentale, che nel 2024 ha visto anche un aumento del 31% dei neo-battezzati adulti rispetto all’anno precedente. Aumento analogo, con un raddoppio dal 2014 al 2024, nell’altrettanto scristianizzato Belgio.
Questi sono solo alcuni esempi, ma ci sono anche altre indagini che confermano questi dati. Proviamo dunque a tirare le somme: sebbene la stragrande maggioranza dei giovani sia ormai totalmente digiuna di cristianesimo, sta avvenendo un “effetto collaterale virtuoso”: questo processo di erosione generale della fede sta portando un numero considerevole di giovani a compiere scelte radicali.
Se negli ultimi decenni la fede cristiana è stata percepita (e diciamo pure tollerata) come un rimasuglio del passato, come uno scomodo strascico culturale legato ad insensate ed anacronistiche tradizioni da cui svincolarsi il prima possibile, adesso si sta ricreando il terreno buono in cui poter seminare.
L’adesione alla fede diviene sempre più una scelta strettamente personale, e quindi non per forza tramandata nelle famiglie. Una scelta legata ad una delusione esistenziale di un mondo che sembrava venire incontro ai bisogni dei giovani con il suo progresso, ma che non è stato in grado di fornire loro una risposta alle domande più profonde sul senso della loro vita. Il dramma della società “sazia e disperata”, come ebbe a definirla il compianto card. Biffi.
Ecco che quindi si va formando uno zoccolo duro di giovani cattolici che sono fieri di essere cattolici. Giovani attratti dai sacramenti, dalla maternità della Chiesa, dalla preghiera del Rosario, dalla devozione mariana, dalla adorazione eucaristica e dalla bellezza della liturgia, che per il suo tratto misterico invoglia chi lo vive a lasciarsi scandagliare sempre di più. Questo vivere integralmente la fede non deve più essere considerato come una chiusura sterile nel piccolo e strano mondo del tradizionalismo, ma piuttosto come una garanzia di autenticità della propria testimonianza e della propria identità.
L’Occidente, ormai bruciato come foglie secche dalla logica del consumo e logorato dall’ateismo pratico, assume sempre di più il volto dell’Impero romano. Ricco di idoli, ma decadente. Sofferente e disorientato, e per questo terreno fertile per una nuova evangelizzazione.
Il cristianesimo ha l’opportunità di voltare pagina: smettere di affannarsi inutilmente nel cercare di inseguire quel mondo neo-pagano che ormai lo ha dimenticato, e tornare invece ad affascinarlo e sorprenderlo come fece 2000 anni fa. La buona notizia può tornare ad essere tale, non solo perché buona, ma perché annuncio perenne di novità e di speranza.



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