“La terra è il luogo del nostro esilio, e noi siamo delle viandanti che camminano verso la loro patria“, diceva Santa Teresa di Gesù bambino.
San Paolo ricorda nella seconda lettera ai Corinzi che “[…] siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo“.
Riflessioni che sono andato a cercarmi mosso da un po’ di nostalgia dovuta al fatto che per l’ennesima volta in pochi mesi mi ritrovo a tornare in un luogo dove ho abitato a lungo ma mai definitivamente. Le varie vicissitudini della vita infatti mi hanno portato ad abitare, negli ultimi due anni, un po’ qua e un po’ là, con la mia famiglia a ridosso di due Paesi diversi e lontani più di 1400 km.
E’ inevitabile provare un po’ di nostalgia di uno o dell’altro luogo, affezionato alle abitudini stabilite, a quel negozietto dove compravo la carne al sabato mattina e ai cornetti che compravo caldi ogni tanto quando volevo fare una colazione che ricordasse quelle dei bar italiani.
Una frase che ripeto spesso di recente è “non vedo l’ora di stabilirmi in un posto solo e costruire la nostra vita qui”. Poi rifletto, e mi rendo conto che non ci sarà mai un luogo che potrà pienamente soddisfare il desiderio di felicità che si nasconde in ciascuno di noi, e che in un certo senso è vera l’affermazione, usata in tutt’altro contesto, che siamo cittadini del mondo. Lo siamo perché non siamo veramente cittadini da nessuna parte. Non esiste un luogo, per quanto meraviglioso e perfetto, che potrà mai darci la totale pienezza su questa terra, perché le nostre anime sono destinate al Paradiso.
Come dicevano i santi quindi, qui siamo in esilio. Dovunque vorrà mandarmi Dio devo essere pronto ad andare, con la serenità nel cuore che anche se potessi costruire la casa più bella nel luogo dei miei sogni, non sarebbe la mia vera dimora perché quella si trova in cielo, nella vita che verrà.
Per concludere, permettetemi un riferimento letterario. Chi ha letto le opere di Tolkien saprà che gli Elfi hanno una costante nostalgia (spesso un po’ pesante) verso il regno beato di Valinor, che hanno perduto e al quale desiderano ritornare. Alcuni di loro per questo trasudano una certa malinconia che non di rado traspare nelle loro storie, tra canti, racconti e volti tristi. Preferisco la spensierata operosità gioviale degli Hobbit, anche se si lamentano un po’ troppo quando vengono trascinati in avventure e sono un po’ imborghesiti e, come sostiene anche Leonardo Fantoni in questo articolo per Opposto, questo non è l’ideale.
Ancor di più, preferisco la nobiltà e la “santità” di Aragorn, uomo che dimentica se stesso per servire il prossimo, non curandosi di dover vivere da nomade per lunghi anni prima di rientrare in quella che è la sua vocazione: essere Re di Gondor. Tutti siamo di discendenza regale, in attesa di prendere il nostro posto e partecipare al governo del Regno che il Re dell’Universo ha preparato per noi. Nel frattempo, affidati a Cristo e avvolti dall’abbraccio materno di Maria Immacolata, dovremo vivere con gioia e fervore apostolico questo meraviglioso ma difficile esilio.
ULTIMI ARTICOLI
- Alzati. O sarai santo o sarai nessuno
- Novembre: il mese della vita vera
- Preghiere di rinuncia del mattino
- Come affrontare le paure, matrimonio, figli e senso della vita
- Il cattolicesimo della torta
- “Ti ho scelta per questi tempi…”: Gesù alla Beata Alessandrina da Costa
- “Date una possibilità a Dio” [testimonianza]
- Tradizionalisti o progressisti: chi ha ragione?
Lascia un commento