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Tradizionalisti o progressisti: chi ha ragione?

In occasione del meeting di Rimini del 1990 l’allora Card. Ratzinger si chiese: «Perché la Chiesa riesce sgradita a così tante persone, e addirittura anche a credenti, anche a persone che fino a ieri potevano essere annoverate tra le più fedeli o che, pur tra sofferenze, lo sono in qualche modo ancora oggi? I motivi sono tra loro molto diversi, anzi opposti, a seconda delle posizioni. Alcuni soffrono perché la Chiesa si è troppo adeguata ai parametri del mondo d’oggi; altri sono infastiditi perché ne resta ancora troppo estranea. Per la maggior parte della gente, la scontentezza nei confronti della Chiesa comincia col fatto che essa è un’istituzione come tante altre, e che come tale limita la mia libertà. La sete di libertà è la forma in cui oggi si esprimono il desiderio di liberazione e la percezione di non essere liberi, di essere alienati.».

Per il tema che tratteremo oggi, desideriamo partire propria da queste parole di Ratzinger, a cui faremo costante riferimento e che guideranno la nostra piccola, ma speriamo, efficace riflessione.

Iniziamo col dire che “tradizionalista” e “progressista” sono “etichette” di matrice politica, prestate impropriamente, all’ambito ecclesiale. Per collocare appunto – politicamente – un fedele o un ecclesiastico in un determinato arco dell’aula parlamentare: il tradizionalista a destra, e il progressista a sinistra. Inutile dire, che la Chiesa, non è una democrazia , non ha un parlamento, e dunque, le logiche politiche non possono essere assimilate dal contesto ecclesiale. Tranne in un caso: ovvero quando la fede viene confusa con la “tifoseria” o peggio ancora con l’ideologia. Ora cerchiamo di delineare il profilo sia del tradizionalista sia del progressista.

Il tradizionalista. Si presenta come l’uomo della dottrina, della vera fede, della “Messa di sempre”. È molto attento alla forma: dell’abito, delle osservanze, della liturgia, non sempre alle forme richieste dalla buona educazione. La forma per lui è quasi una ossessione: non indossare l’abito sarebbe per lui un imperdonabile tradimento della propria vocazione e identità. Intravede certamente un valore: il primato della Verità. Dio prima di tutto. Custodire e difendere la fede cattolica, prima di ogni altra cosa. È fedele alla Tradizione della Chiesa, almeno fino a Pio XII. Riconosce il grande valore dell’impostazione tomista (anche se non sappiamo di quale tomismo si tratti). Ma non apprezza il contributo teologico successivo, figuriamoci la nouvelle théologie. Non parliamo poi del Vaticano II: la fucina di tutti i mali e di tutte le eresie. Tendenzialmente per il tradizionalista l’errore, l’eresia o l’immaturità è sempre fuori di lui. Gli altri possono sicuramente sbagliare, lui no! Il tradizionalista vive nella felice consapevolezza che la sua sensibilità è il criterio, la porta o la dogana che decide chi è dentro o fuori la cattolicità. Il Papa sbaglia, ma il tradizionalista gode sempre dell’infallibilità.

Il progressista. Si presenta come l’uomo “smart” per antonomasia. La sua preoccupazione è essere “pastorale”. Ha diverse priorità: essere dialogante, accattivante, vuole coinvolgere a tutti i costi i suoi fedeli. Il suo “mantra” è l’accoglienza. L’abito religioso per lui è un ostacolo al dialogo, si mimetizza volentieri con il gregge per avere “l’odore delle pecore”. Improvvisa sempre, a partire dalla liturgia. Le rubriche del messale romano sono un optional, desidera sorprendere il pubblico ed essere creativo. Il Concilio Vaticano II per lui è sempre stato un “superdogma”, ma al tempo stesso è roba vecchia: sta già pensando ai possibili sviluppi pastorali di un Concilio Vaticano IV. Il suo programma non è fare la volontà di Dio e seguire l’insegnamento della Chiesa perché ha un carisma particolare che sovrasta il mandato datogli dall’istituzione. Tendenzialmente svende la dottrina, smantella la fede, magari non sfacciatamente, ma instillando “perle” di ambiguità. La Chiesa per lui ha sempre sbagliato, almeno fino al 1962. Ma da quando nella Chiesa finalmente c’è lui, le cose vanno davvero bene. Non sappiamo se il progressista creda nello Spirito Santo, tuttavia confida ciecamente nello “spirito del concilio” e nello “spirito d’Assisi”. Ci sarebbe anche un terzo spirito: ma non ne parla mai, non ci crede, nonostante sia presente nel Vangelo e nel Catechismo della Chiesa Cattolica. Intravede certamente un valore: il primato della carità.

A questo punto dovremmo chiederci chi ha ragione? Proviamo a rispondere individuando ciò che accomuna le due posizioni, un po’estreme a dire il vero. La radice – come dice bene il Card. Ratzinger – è la «scontentezza». Sia il tradizionalista che il progressista non sono contenti della Chiesa Cattolica. Sono delusi. Si aspettavano altro, qualcosa che non hanno trovato. Entrambi, hanno trovato la Chiesa Cattolica “problematica” per alcuni aspetti e dunque hanno provveduto in qualche modo a trovare una soluzione per sopravvivere. Dice Ratzinger: «Alcuni soffrono perché la Chiesa si è troppo adeguata ai parametri del mondo d’oggi; altri sono infastiditi perché ne resta ancora troppo estranea». Si tratta proprio della sofferenza alla radice delle due risposte, quella progressista e quella tradizionalista. I primi sono delusi da una Chiesa che non segue le mode, i secondi sono delusi da una Chiesa che si è troppo accomodata ai criteri mondani. Entrambi dunque soffrono. Vi è un dolore all’origine della loro risposta e della loro modalità. Entrambi i gruppi individuano un valore: i tradizionalisti l’amore per la verità, la dottrina, la buona liturgia; mentre i progressisti privilegiano (almeno credono) l’amore caritevole, l’accoglienza, la pastoralità. Entrambi hanno cercato una soluzione alla loro delusione e sofferenza. Pensiamo a capostipite dei tradizionalisti: Mons. Marcel Lefebvre. Ha individuato un valore: la bellezza e la ricchezza del rito tridentino. Ma a che cos’ha rinunciato? Per un rito, ha rinunciato alla communio ecclesiarum, e dunque al bene supremo che Cristo ha donato alla Chiesa Cattolica, dono pagato con il Suo Sacrificio vespertino. Per i progressisti – non mi viene in mente un capostipite, mi vengono in mente molti volti (ben tollerati dalla Chiesa a differenza di Lefebvre). I progressisti hanno individuato un valore nel primato della carità, “dell’andare incontro all’altro/a”. Rinunciando a che cosa? Sulla scorta di una falsa carità o come si usa dire oggi “inclusività”, hanno rinunciato anch’essi alla comunione con la fede della Chiesa e quindi con Cristo. Ma come? Anche qui, hanno rinunciato alla comunione? Ma senza creare uno scisma visibile? Avete capito bene! Si può anche far parte della Chiesa Cattolica, viverci dentro, ma avere e coltivare dei “cuori scismatici”, e sono forse i più pericolosi perché spesso sono tollerati ma aderiscono al profilo che ne fa il Cristo nel Vangelo quando parla dei «lupi travestiti da agnelli»

Entrambi hanno fatto una scelta pensando di essere nella verità. Un verità parziale e soggettiva. Sia il tradizionalista che il progressista hanno anteposto la propria idea di chiesa, le proprie idee, i gusti personali alla fede della Chiesa Cattolica: hanno rinunciato alla dimensione oggettiva della verità. Dunque entrambi gli “schieramenti” non sono cattolici, non sono risposte cattoliche ai problemi e alla difficoltà, che ci sono, inutile negarlo, e che vediamo tutti noi che siamo dentro la Chiesa di Cristo.

Entrambe, sono posizioni “eretiche” perché hanno preso/scelto/isolato solo un elemento (una verità, un rito, la carità/pastoralità, ecc…) dimenticando la totalità e l’intero.

Entrambi i gruppi soffrono di una amnesia spaventosa: non sanno più cosa voglia dire la parola katolikòs. Entrambi sono scaduti nel “settarismo”. Non sono cattolici! Quando Papa Benedetto XVI il 7 luglio 2007 rendeva noto il motu proprio con il quale liberalizzava la Messa Tridentina riformate nel 1962 da Papa Giovanni XXIII, intendeva dare un chiaro messaggio a entrambi i gruppi: ai tradizionalisti diceva: «guardate che il rito antico, non è vostro! Non avete, per così dire, alcun copyright! È patrimonio della Chiesa Cattolica! È nostro! Non vostro! Voi ne state abusando, utilizzandolo come arma per screditare la Chiesa Cattolica e ferirne la comunione». Ai progressisti invece diceva: «riconciliatevi con il tesoro dottrinale e liturgico della chiesa, imparate ad accogliere voi stessi, la storia e la fede a cui appartenete e dovreste trasmettere ai fedeli, accogliete Cristo, prima di accogliere le vostre strambe idee su cosa sia pastorale e cosa no. La liturgia, anche quella antica, è pastorale più delle vostre bizzarre strategie»

Ci avviamo alla conclusione, andando forse, alla radice del problema che ben sottolinea il Card. Ratzinger: «La sete di libertà è la forma in cui oggi si esprimono il desiderio di liberazione e la percezione di non essere liberi, di essere alienati» Sia il tradizionalista che il progressista infine, sono vittime di se stessi, della loro errata concezione della libertà, del loro desiderio di emancipazione, delle loro immaturità irrisolte, non solo dottrinali ma anche relazionali, perché non sanno vivere (e nemmeno ci provano) la comunione cattolica, che non sceglie gli amici, non segue il gruppo o l’élites del momento, benché garantisca promesse, potere e futuro. Segue Cristo. Amando Lui, posso amare questa Chiesa del 2024, magari soffrendo (come sanno fare i santi che ci hanno preceduto), magari perseguitato e incompreso dalla stessa Chiesa, va bene tutto! Ma NELLA Chiesa. La peggior Chiesa Cattolica, il peggior Papa è sempre l’opzione più vantaggiosa, perché ha sempre la pienezza della Verità, sebbene a volte, sia offuscata dal peccato o dalla confusione dottrinale. La peggior Chiesa Cattolica, è sempre preferibile rispetto a qualsiasi gruppo settario o scismatico (scomunicato oppure no). Questo è Cattolico, questo è amore cattolico. Amare non solo una parte, non solo quel Papa, quella chiesa, quel rito, non solo una idea più o meno stramba, ma la totalità, quella cattolica, quella che tiene insieme Verità e Carità, quella che Dio in Cristo, ci ha donato e ha pensato da sempre per noi.


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